Home > News > Chi ascolta un anziano consulta un oracolo. Di Fortunatus Nwachukwu*

Quando gli Akan dicono che «le parole dell’anziano sono più potenti degli amuleti», gli Igbo cantano che «uno che ascolta gli anziani assomiglia a colui che consulta un oracolo» e i Berberi della Kabilia ripetono che una persona è sempre discendente di un anziano, tutti ribadiscono il valore particolare accordato alla figura dell’anziano nelle culture africane. Essi sembrano dare ragione a quanto afferma William Conton: «Gli africani generalmente hanno profondo e ingranato rispetto per la vecchiaia, e persino quando non vediamo niente da ammirare in un anziano, non dimenticheremo facilmente che i suoi capelli grigi gli hanno meritato il diritto alla cortesia e alla gentilezza».

Infatti, lo spazio riservato alle persone anziane e l’attenzione da loro goduta costituiscono uno degli elementi comuni a tutte le culture dei popoli africani. Cosicché si potrebbe vedere nella figura dell’anziano un punto d’unità e d’incontro tra le varie culture del continente africano che, con le sue cinquantaquattro nazioni e oltre mille gruppi etnici, è molto più variegato e complesso di quanto spesso si evince dall’opinione comune; le sue popolazioni sono talmente eterogenee che è ormai inaccettabile trattarlo come un unico pur grande villaggio, dotato di una sola cultura.

Si pensi alle distinzioni fra le culture delle popolazioni nomadi delle regioni della Savannah e del deserto, e quelle agricole e dei cacciatori delle regioni tropicali; oppure alle marcate differenze fra le popolazioni di tradizioni regali, generalmente organizzate in modo piramidale, e quelle piuttosto egualitarie, senza re e famiglie reali, come la maggior parte degli Igbo dell’Africa occidentale.

Inoltre, le culture contemporanee africane divergono anche secondo il contatto e l’influsso che le varie regioni e popolazioni hanno avuto con culture provenienti da altri continenti, sia quelle europee –francese, inglese, spagnola o portoghese — sia quelle arabe e asiatiche. Infatti, mentre il contatto con altri popoli — particolarmente del mondo arabo e dell’occidente — ha portato nel continente importanti elementi di ravvicinamento fra i diversi gruppi etnici, specialmente tramite le lingue e le religioni ricevute, insieme alle mentalità da esse veicolate, questi stessi elementi hanno spesso creato nuove differenze fra i loro diversi destinatari africani. Oggi, l’africano s’identifica non solo per la sua etnia o regione d’origine nel continente, ma anche per la sua «nuova» lingua — araba, francese, inglese, portoghese o spagnola — e religione — soprattutto cristiana e musulmana.

Tuttavia, questi numerosi punti di divergenza non impediscono di identificare almeno tre elementi principali che accomunano le distinte
culture africane, quali l’amore per la vita, l’attaccamento alla famiglia e il profondo senso religioso che pervade tutta la vita individuale e comunitaria. Si tratta di tre elementi che s’intrecciano e sottostanno al riguardo e al trattamento riservati alla figura della persona anziana nelle società africane.

Tuttavia le culture africane non sono risparmiate dai non pochi paradossi che s’associano al continente; e nemmeno si salvano i tre elementi menzionati come base del riguardo per l’anziano –l’attaccamento alla famiglia, l’amore per la vita e il forte senso religioso. In primo luogo, l’attaccamento alla famiglia e alla comunità non è sempre gestito bene, e si vede spesso degenerare in forme di nepotismo, etnicità e tribalismo, che sfociano nella corruzione e nella mala gestione dei beni comuni.

Per quanto riguarda l’amore per la vita, è inevitabile non ricordare alcune pratiche contro la vita, presenti nella storia passata e attuale del continente. Da un canto, si nota con sollievo che l’uccisione di gemelli considerati frutti di una nascita anomala, l’eliminazione di persone colpite da malattie strane giudicate maledizioni degli dei, il sacrificio umano e il cannibalismo, sono ormai ricordi scomodi della storia di alcune etnie. Dall’altro canto, invece, restano ancora molto presenti e diffusi i non meno scomodi ed inquietanti incidenti di guerre fratricide con l’atroce distruzione della vita e della dignità umane, la sommaria uccisione o mutilazione di persone a scopo rituale o per altri motivi egoistici, la tratta e il traffico di persone compiuti da diversi africani con conseguenze devastanti per la vita delle vittime.

Anche il tanto conosciuto, e da alcuni strombazzato, senso religioso dell’africano si presenta qualche volta come moneta a doppia faccia. Certo, la consapevolezza della presenza di Dio o dei suoi mediatori incute un senso di rispetto per la natura e per la vita, anche dell’anziano; ma dato che gli dei, nella loro manifestazione o modo di operare, non si prestano alla comprensione umana, le persone riconosciute come loro intermediari umani — i loro «sacerdoti» e «sacerdotesse», i «rain-maker», le «profetesse» eccetera — sono tentate di approfittare del senso del mistero per far fiorire la paura, basata sulla suggestione, e moltiplicare le manipolazioni, nonché altre credenze e pratiche negative, come quella della stregoneria, che lacera le società dei villaggi e delle città africane e si fonda sulla paura degli spiriti e di altri poteri nefasti da cui molti africani si dicono minacciati. Infatti, ci sono casi in cui, per calmare «l’ira degli dei», si arriva alla violazione della vita, della famiglia o della comunità; come quando si ricorre al sacrificio umano, scegliendo o rubando la vittima dalla famiglia e dalla comunità!

Si potrebbe argomentare che gli elementi negativi citati non sono diffusi fra tutti i popoli africani e che quando sono presenti, non sono condivisi da tutti; tale ragionamento, però, potrebbe solamente attenuare ma non eliminare i paradossi. Tuttavia, dinanzi a questi paradossi che facilmente si prestano allo sfruttamento di chi vuole compilare la necrologia dell’Africa e dei suoi valori, la figura dell’anziano e l’attenzione a lui riservata, resistono e si distinguono come elemento unificante per i valori positivi dei popoli e delle culture africane. Infatti, ancora oggi «la stabilità e l’ordine sociale continuano ad essere affidati ad un consiglio di anziani o a Capi tradizionali. Le persone anziane possono contribuire attraverso queste forme in modo efficace all’edificazione di una società più giusta, che progredisce non grazie ad esperienze talvolta azzardate, ma gradualmente e con un equilibrio prudente. Le persone anziane potranno così partecipare alla riconciliazione degli individui e delle comunità attraverso la loro saggezza e la loro esperienza». (Benedetto XVI, esortazione apostolica postsinodale Africae munus n. 49) Nemmeno la corruzione o la mala gestione degli affari comuni, di cui si lasciano macchiare alcuni capi dei popoli, sembrano capaci di togliere completamente da loro l’attenzione cortese della gente, la quale pur disprezzando il cattivo operato di un anziano, evita sempre di umiliarlo, almeno pubblicamente. La sua figura è quasi sacra e trattarla bene è visto come garanzia per la propria lunga vita. Si pensi al precetto biblico: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni» (Es 20, 12).

Si dice che il contatto con altre culture non lascia mai indifferenti i valori e il modo di vita di un popolo. Nella società odierna, con maggior contatto fra la gente, dovuto ai nuovi mezzi di comunicazione ed informazione, il trattamento dell’anziano in Africa non si esime da nuove sfide. In primo luogo, è ormai noto che, oltre alle esperienze personali accumulate negli anni, esistono altri modi di accedere alle esperienze altrui e raccogliere le stesse informazioni che costituiscono la base della saggezza attribuita agli anziani, modi accessibili a persone con molti meno anni e capelli grigi; si pensi soprattutto ai contatti con altre popolazioni, culture e realtà tramite viaggi e tecnologia moderna. La conseguenza è la ridefinizione del concetto dell’anziano in modo da abbracciare, oltre alle persone con molti anni di vita, anche quelle che, pur avendo meno anni, hanno accumulato la saggezza associata ad una lunga vita. In un primo momento si ha l’impressione di trovarsi di fronte a due mentalità che sembrano scontrarsi; la più tradizionale si esprime nel proverbio: «Ciò che scruta l’anziano in sedia, non vede il giovane in piedi»; l’altra è ripresa nell’audace e quasi irriverente detto: «il viaggiatore è meglio dell’uomo dai capelli grigi». Un altro proverbio, invece, sintetizza ciò che si presenta come la visione aggiornata: «quando un giovane lava bene le proprie mani, egli siede alla stessa tavola con gli anziani». Tale ridefinizione riguarda anche la figura del sacerdote che, nella religione cristiana, è accolto come un presbitero, cioè un anziano, malgrado qualche volta la sua giovane età.

Proprio la figura del sacerdote concepito come anziano presenta una sfida particolare per le culture africane. Generalmente in Africa,l’anziano è accolto in famiglia e comunità; egli è accudito all’interno della famiglia ed è normale che un figlio o una figlia abbandoni altri progetti di vita per occuparsi di un genitore (padre o madre) anziano e bisognoso di assistenza. Questo è visto come una risposta dovuta al genitore che ha portato la persona nel mondo e l’ha cresciuta, spesso con tanto sacrificio; per tale ragione, è impensabile vivere senza procreare figli che si occuperanno della persona nella sua vecchiaia; è una situazione che rende anomalo lo stato del celibato associato al presbitero cattolico e ad altre persone consacrate. Infatti, se l’anziano è accudito all’interno della propria famiglia, qual è la sorte del sacerdote o del consacrato anziano e celibe, senza figli o genitori, e i cui altri parenti restano presi dalle esigenze dei propri famigliari immediati?

Si tratta di una sfida abbastanza nuova in diverse parti del continente, dove la Chiesa nella sua attuale configurazione è ancora relativamente giovane con un clero autoctono che solo in questi anni comincia ad avere i primi sacerdoti di età avanzata e bisognosi di assistenza. Là dove la Chiesa è in forte crescita, il dibattito sulla sistemazione dei sacerdoti anziani è al suo apice. Alcuni sacerdoti anziani desiderano restare nelle famiglie d’origine, mentre altri preferiscono rimanere in parrocchia sotto l’attenzione di un giovane sacerdote. Il dilemma creato si arguisce dal fatto che vari africani sono dell’opinione che l’idea di case per gli anziani e della sua introduzione in Africa porterebbe ad un abuso del concetto e del rispetto africano della vecchiaia.
A ben vedere, tale sfida e dilemma, insieme ai menzionati paradossi riguardanti la figura dell’anziano e alcuni valori ad essa associati in tutte le culture africane, non sono altro che evidenze di imperfezioni, bisognose della luce del Vangelo.

(L’Osservatore Romano 27 luglio 2012)

* Mons.Fortunatus Nwachukwu, Capo del Protocollo della Segreteria di Stato Vaticano, è membro del Comitato Culturale Harambee Africa International.