Home > News > Incontro con Ismael Martinez Sanchez, fotoreporter.

In occasione di un seminario sulla fotografia abbiamo incontrato, a Roma, Ismael Martinez Sanchez, fotoreporter e autore di “ILOMBA” , la mostra fotografica itinerante di Harambee.

  • Di recente le Nazioni Unite hanno celebrato la Giornata Mondiale dell’Habitat. Il nostro mondo continua a crescere in maniera prevalentemente urbana e l’Africa è il continente con il tasso annuale di crescita urbana più alto al mondo: tu che hai visitato tante realtà africane, che idea ti sei fatto sulle città africane?

C’è grande diversità tra i 55 paesi africani e anche se l’Africa è la regione meno urbanizzata al mondo, studi attuali indicano che la popolazione urbana raddoppierà nei prossimi 20 anni a causa dell’incremento dei flussi migratori dalle campagne e per la crescita demografica. Tuttavia, mi sembra inappropriato parlare di “Africa” in generale; in Europa è ritenuta un’offesa sentir parlare di un estone come se fosse uno spagnolo o un greco come se fosse un tedesco o un italiano. Nessuno ci crederebbe. Quindi ci sono molte “Afriche”, non solo i 55 paesi divisi artificialmente con la conferenza di Berlino del 1885.

Possiamo poi dire che l’Africa ha settori finanziari in espansione come Johannesburg, Lagos, Nairobi o Abidjan caratterizzati da grattacieli moderni. Edifici che rompono l’immagine che i film di Tarzan o del National Geographic hanno creato e perpetuato su questo continente, dove la giungla impone un immaginario collettivo di cittadini in capanne di fango. Paradossalmente, anche i miei amici e colleghi giornalisti si sorprendono che a Nairobi si circoli su strada, ci siano diverse università e infrastrutture varie. È vero che non sono autostrade svizzere o tedesche e che dobbiamo quindi migliorare…

Nelle città ancora prevale una crescita orizzontale più che verticale. Le città africane sono molto estese, con minore concentrazione per metro quadrato a differenza di molte “città dormitorio” europee. Questa estensione orizzontale rappresenta un rischio per la sicurezza (il controllo è più difficile) e una sfida per la logistica che richiede grandi infrastrutture affinché il tessuto urbano sia efficace. Molte delle infrastrutture in Kenya, Congo, Togo e Uganda sono realizzate da investimenti esteri del governo cinese che, per esempio, ha costruito la tangenziale su Nairobi, gli stadi di calcio di Lomé (Togo), il terminal dell’aeroporto di Maputo (Mozambico).

  • I villaggi in Africa rappresentano tradizionalmente i luoghi della sua civiltà, delle sue specificità, a differenza delle città che sono spesso di nuova fondazione. Tu hai da poco realizzato un reportage nella regione Turkana, la più remota del Kenya, dove gran parte degli abitanti sono ancora nomadi o semi-nomadi. Qual è stata la tua esperienza? Cosa hai visto?

Si tratta di una zona desertica, molto aspra e dura, al confine tra il Kenya, l’Uganda, l’Etiopia e il Sud Sudan. I Turkana sono una tribù nilotica di persone dalla costituzione robusta, abituate a camminare ad alte temperature nel deserto. Si spostano con bovini, cammelli o capre alla ricerca di acqua e restano fedeli ai loro bestiami tradizionali.

Paradossalmente anche l’eccesso di acqua è un problema per loro. Le recenti inondazioni di quest’anno in Kenya hanno causato la perdita di grande quantità di bestiame. Ricordo che una mattina ho attraversato una valle per circa trenta metri e nel pomeriggio, a seguito di una forte tempesta, tornando ad attraversare l’area, la valle era diventata un pericoloso fiume in piena. Ho capito quindi come poteva essersi perso il bestiame. Dopo due ore di attesa ho potuto riprendere la strada, ma il bestiame ha trovato sorte peggiore. Alcuni nomadi si fermano sulle rive del lago Turkana dedicandosi alla pesca, un’attività mal vista fino a poco tempo fa. Si raggruppano in piccole comunità stanziali, dove spesso la fede convive con le tradizioni culturali e tribali.

  • Tra le grandi sfide che le nostre città affrontano c’è indubbiamente quella della coesistenza, a seguito dei grandi flussi migratori in arrivo soprattutto dall’Africa. Allo stesso tempo, molti paesi dell’Africa registrano tassi di crescita più alti al mondo. Tu che conosci molto bene tante realtà africane, quali sono le potenzialità di questo grande e variegato Continente?

“Tu sei perché noi siamo”. Questo è un principio della società africana, dove il servizio alla comunità e alla tribù è al di sopra dei diritti individuali (percezione molto diversa da quella europeo-occidentale, e sostanzialmente europea-americana, per la quale l’individuo deve sviluppare i propri talenti). Se si capisce questo, allora è possibile comprendere alcune delle conseguenze pratiche nel quotidiano.
Ad esempio, vi è una ricca vita di comunità a sostegno dei membri della famiglia più in difficoltà. Tuttavia, il rovescio della medaglia è l’eccessiva dipendenza dalla tribù, la mancanza di uno sviluppo personale individuale oppure un feroce nepotismo. In ogni caso, la speranza africana è probabilmente nell’educazione e nelle élite culturali e finanziarie africane affinché si impegnino socialmente e non solo a protezione dei propri interessi.

  • Hai realizzato reportage in diversi paesi e al centro dei tuoi lavori ci sono sempre le persone. Cos’è che ti affascina di più delle popolazioni incontrate?

Mi affascina il contrasto, parola che per un fotografo è parte della sua ricerca. Mi sorprende quanto sia facile vivere e morire in molti paesi del continente. Ad esempio, rispetto al timore per la morte, diffuso in gran parte della cultura occidentale, molti bambini africani ci convivono quotidianamente. Chi si trova ad affrontare la morte e il dolore sa molto sulla vita. Questo mi interessa fotograficamente e concettualmente.

Un altro contrasto che mi interessa oscilla tra il naif e il drammatico. Mi spiego. L’Africa (o ogni paese) non simboleggia né l’inferno né il paradiso, come non lo sono né l’Europa né gli Stati Uniti. Né tantomeno nessuna persona riflette la perfezione o l’imperfezione assoluta su questa terra, né qualcuno è già condannato o perdonato. Nessuno Stato o individuo sulla terra è Dio o Belzebù.
A mio parere dobbiamo quindi evitare sia l’ingenuità che il catastrofismo africano. Piuttosto penso che ovunque ci troviamo -a Nairobi, Roma, Parigi o Pernambuco- dobbiamo parlare di individui, non di continenti, paesi o tribù. Il continente, il paese o la tribù sono solo un piccolo punto di partenza per cercare di comprendere l’altro, ma mai un punto di arrivo per essere intrappolati in uno stereotipo.